Margherita si sveglia con la febbre. Vuole terra e siamo a un gavitello. Su un’isola. Uno scoglio di sabbia.
Scelgo un posto del cuore, anche se fuori rotta. Un porticciolo che le bimbe sentono casa: San Martin (Martinšćica).
La giornata è splendida. Non per tirare su le vele, che anche oggi non c’è un alito, ma per navigare sì: sole, cielo terso, il giusto caldo di fine agosto e mare che è una tavola.
Imposto la rotta sul navigatore e ce la godiamo tutta, ad eccezione di Marghe che è costretta sottocoperta dalla febbre.
Attorno a noi lo spettacolo ormai consueto eppure mai scontato della navigazione tra Unie e Lussino, passando vicino alle Canidole, nella fatispecie la grande (Vele Srakane), con l’Isola di Cherso come destinazione. Guardando a sud-est ancora il Velebit che ci saluta. Oltre il Quarnero, verso nord, l’Istria con l’imboccatura del Canal d’Arsa e, più in là, il Monte Maggiore. Qui vicino, sulla dritta, Ossero col suo canale e l’omonimo monte.
A San Martino stiamo sempre benissimo. Anche la febbre di Margherita migliora nel pomeriggio, a sera sta già bene.
Ma come cambia le cose il tempo! L’osteria alla base del molo non presenta più i vecchi, storici, camerieri e il “museo” di cimeli custoditi al suo interno è scomparso. Vado a cercare sul mio taccuino un appunto di qualche anno fa, copiato da una targa che si trovava qui appesa: “La scarpa vecia, co la xé vecia, te ga solo de buttarla via“, rigorosamente in veneto.
Anche la notte porta una spiacevole novità: il baracco in fondo al parcheggio fa il verso ad un disco-bar e spara musica a volume tale che suppongo rompa le scatole fino ad Unie. Qui, ormeggiati al molo, non possiamo chiudere occhio fino all’alba.
Male, San Martino. Molto male… speriamo torni ad esser quel che eri.